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martedì 30 settembre 2014

La società individualista e il team working

Il progresso della collettività è in definitiva un regresso per il singolo.
R. Musil


Chi non riesce a trasmettere un senso “proprio” a ciò che fa non desidera altro che trovare una giustificazione che appaghi questa sua insensatezza. E la trova spesso, senza fare nemmeno lo sforzo di cercarla, nelle illusioni collettive. Le sole che gli permettano di obliare nella chiassosa comunità di “noi” il vuoto determinato dall’”io” mancante (parimenti a quel che avviene razionalmente per il punto nella geometria: egli è l’ente geometrico più elementare, costituente ogni altro ente esteso, superiore, spazio privo di estensione. Solo dall’addizione con altri punti adiacenti può quindi darsi una forma consistente, sorreggendosi ad altri non esseri suoi pari. La somma d’infiniti individui zero costituisce quest’uomo inconsistente. Egli riesce ad essere, ad avere una forma, solo quando è in gruppo).
E’ bizzarro, ma la società probabilmente più spiccatamente individualistica che la storia dell’uomo abbia conosciuto, pare essere incapace di mettere al centro delle proprie preoccupazioni proprio l’individuo. E’ tutta una cagnara di “noi”, di gruppi, di “beni comuni”, di collettività a cui si “deve” incondizionata ubbidienza e miope dedizione, come ad esempio le “ultime” trovate per rendere questa dipendenza persino utile, proficua, produttiva, tra cui quella ormai classica è il lavoro di squadra, il team working.
lavoro di squadra
Non esistono oggi, checché se ne dica, individui. Quando ci sono, sono solo dei pallidi simulacri, "uomini senza qualità". Rappresentazioni sbiadite che vengono infatti definite e caratterizzate esclusivamente a seconda delle competenze e delle qualità che possono mettere in campo nella “vita sociale”. In un sistema che richiede la crescente specializzazione delle qualifiche noi non veniamo più identificati in quanto uomini, lo siamo esclusivamente in base all’utilizzo che possiamo avere per gli altri e viceversa, per dirla con Stirner: “nessuno ha bisogno dell’altro come persona, ma ne ha bisogno invece per quel che gli dà”. L’uomo del team working è quindi, primariamente, uno strumento. Egli abbisogna di qualcuno che lo utilizzi per sentirsi confermare in quanto uomo. Un uomo gregario, dipendente, il cui unico vanto è quello di possedere un prezzo, una quantità di forza-lavoro o di competenze, a seconda di ciò per cui viene adoperato. Si vanta persino di essere risorsa umana. Vuol essere utile – ovvero utilizzato -. Per utilizzare le parole di Nietzsche che, anticipando i tempi, c’aveva visto probabilmente giusto: “nella collettività democratica, dove ciascuno è specializzato, manca il “perché?”, “per chi?”, la classe in cui tutti gli immiserimenti di tutti gli individui (ridotti a funzioni) acquistano un senso".
Da questo punto di vista, si potrebbe addirittura sospettare che l’uomo abbia inventato la catena di montaggio e il lavoro di squadra taylorista come ulteriori ri-medi alla propria incapacità di viver-si in quanto individuo, persona. E non invece, come la storia, soprattutto novecentesca, sembra suggerirci, che quelle innovazioni siano state prodotte dall’insistenza del progresso, dalla tecnica e dall’esigenze economiche, di mercato. Il team working quale frutto della narcolessi, della persistente voglia di comodità! Un nuovo de-vertimento buono esclusivamente per stordire l’umano richiamo all’individualità.
Che cos’è la specializzazione, la parcellizzazione di ciò che l’uno sa fare, la frantumazione di ciò che l’uno è, se non, appunto, il contrario della volontà di essere autonomi, uomini interi? Un uomo che vorrebbe tendere all’autonomia (l’unica ormai quantificabile, e quindi esistente, sembra essere diventata quella economica) nel nome di una sempre più “voluta” dipendenza: essere autonomi implica uno sforzo, e anche l’indipendenza, lo dice il termine stesso, si conquista attraverso le rinunce.
Avremmo pure ucciso dio e tutti gli dei del firmamento, come annunciato da Nietzsche, ma la voglia di sottoporsi a degli idola ed essere dipendenti, schiavi, non pare averci ancora abbandonato. Gli abbiamo solo cambiato nome, sostituendo il monoteismo d’ascendenza divina con un politeismo laico, fatto di plastica, metallo e vapore, di oggettività e di ideali.
Team working: alimentando la persistente fede nelle menzogne che lo consolano dalla sua insensata esistenza, quest’uomo confida che assieme agli altri possa trovare finalmente una direzione da seguire.

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