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giovedì 14 aprile 2016

Se le stime dell’Istat variano con gli anni bisestili…

Tra medioevo e rinascimento, scrive Huizinga, l’uomo trovava nella terra “lo schema con cui misurare la vita e il mondo”. Oggi, dopo gli “stupefacenti” progressi in ogni campo razionale, quella misura ci viene invece suggerita dal dato, dalla statistica, dall’Istat che di quei simulacri è l’indiscussa cattedrale. Lo sa bene, tra gli altri, anche il prestidigitatore Matteo Renzi che, dopo le poco lusinghiere previsioni sulla crescita del Pil nel 2015, può finalmente bullarsi sui social network dei risultati raggiunti.

L’Istat, infatti, pur confermando la crescita ipotizzata dello 0,7%, ammette che a quel dato vanno però aggiunti 3 giorni lavorativi in più, quantificati in un più 0,1% (se 3 giorni producono un aumento di 0,1% sul Pil, le ipotesi sembrano essere solo due: o in Italia si cresce del 20% annuo ma nessuno ce lo dice, oppure in quei tre giorni si è celebrato un colossale colpo di culo. Roba che manco la Cina dei tempi migliori…). Molto più verosimilmente, l’Istat sembra essere andata incontro alla vanità del piacione Renzi, avvicinandosi così alle stime di crescita pronosticate a suo tempo dal Governo (lo 0,9%, ma prima l’%, e prima ancora, con l’anno nuovo interamente davanti, persino l’1,2%!... il solito “dare i numeri”).


Tralasciando il sostanziale dato che l’Italia sta comunque crescendo meno rispetto a qualsiasi altro Stato europeo, e che la crescita appena iniziata si sta già, progressivamente, esaurendo, i dati schizofrenici dell’Istat dovrebbero suggerirci anche un paio di considerazioni di metodo (ah, restando sempre in tema di metodo: quali sono gli effetti e i numeri dell’emersione del nero, della prostituzione e del contrabbando? Quanto valgono queste grandezze, introdotte circa un anno fa, sul Pil? Mistero della fede).

La prima: il Direttore dell’Istat viene nominato dal Governo e in tal senso potrebbe almeno venire il sospetto che non voglia deludere le aspettative del proprio datore di lavoro. La seconda considerazione, invece, pertiene ad un aspetto ancor più sostanziale ed allarmante: i dati, la scienza, o la technè più in generale se si preferisce, non sono affatto cose serie quando impiegati per spiegare cose umane, incapaci, come sono, d’imprigionare in un’istantanea numerica la realtà che ci circonda. Scopriamo così, grazie all’Istat, che anche la matematica è un’opinione! Che anche le perizie logiche siano arbitrarie sinestesie retoriche e “versificazioni” dell’eco-nomos, che tutto ciò che vorrebbe ammantarsi di un’aura oggettiva è, in definitiva, partorito e maturato a partire da un soggetto che sente, osserva e pensa.
Eppure oggi, in ossequio alla dea scienza, si può dire tutto e contemporaneamente il contrario di tutto, ma sempre scientifica-mente! Si possono, ad esempio, risistemare alla bisogna i dati per far tornare infine i conti (i professionisti della scienza e della tecnica sembrano infatti periti di parte: difendono esclusivamente sé stessi e il proprio operato!).

In realtà non è una novità che il numero e la tecnica siano strumenti insufficienti per com-prendere la realtà, la physis, la natura. Ippaso di Metaponto, più di cinquecento anni prima di Cristo, fu cacciato (per alcuni fu assassinato) dalla comunità pitagorica proprio perché divulgò che vi erano grandezze “incommensurabili” e “irrazionali” che sfuggivano al sacro e perfetto ordine numerico di quei filosofi. Il dato è un’opinione che però dà l’illusione divina di essere assoluta-mente giusta, a-problematica, certa, rassicurante e assodata. Un participio passato: “dato”.



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