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martedì 10 maggio 2016

Gli sgravi fiscali, Pantalone e il jobs act

Che l’Italia non fosse propriamente un paese per gente onesta lo si era capito già da tempo, ma qui stiamo davvero rasentando la commedia dell’arte. Circa 60 mila aziende hanno approfittato degli sgravi contributivi previsti dal jobs act per assumere 100 mila lavoratori che non ne avevano il diritto (8 mila euro di sgravi fiscali per ogni collaboratore assunto a tempo indeterminato, per un totale di 600 mila euro “frodati”). Anche il lavoro si può finalmente creare a debito...
E’ il successo del jobs act targato Governo dem.

Se da una parte, conquista par excellence, anche il lavoro diventa una merce al pari delle altre, tant’è che si può parlare di un mercato del lavoro come di un mercato dei tranci di carne o dei latticini, suscettibile alle stesse precarie leggi concorrenziali, dall’altra le pie aziende, che “danno da mangiare” allo sfigato di turno, abusano dei vantaggi fiscali e ci fanno pure la cresta.
L’imprenditore, o meglio alcuni di essi, non ci rimediano insomma una bella figura. O forse sì… in realtà questi novelli mecenati dimostrano solo di essere à la page, al passo coi tempi globali, perché seguono quella regola omnia che la logica del turbocapitalismo ha reificato sopra ogni altra cosa: “massimizzare gli utili tagliando gli sprechi”, tagliando il costo del lavoro, gli investimenti, le giacenze di magazzino… magari fregando il prossimo e lo Stato stesso (che, in fin dei conti, si comporta anch’esso come un privato qualsiasi che desidera accumulare profitti).


Ammesso che la situazione sia davvero questa, dovremmo allora accettare che il furbetto “prenditore” è una figura allegorica assolutamente integrata al nostro sistema economico, mentre è proprio il sistema di welfare ad essere obsoleto, d’intralcio al profitto e a quei sant’uomini che danno un’occupazione, meglio se “aggratis”. Ed è superato anche il lavoro, inteso costituzionalmente come diritto, e non invece bagarre tra poveri che si mettono in competizione l’un l’altro per sopravvivere e comprarsi quel panem et circenses  che dà così tanta dignità e tartuferia.

Lo sosteneva anche l’unico, a mio avviso, filosofo ancora vivente in Italia, Emanuele Severino: “il capitalismo nasce quando non è più lo scambio di merci a servirsi del denaro, ma il denaro a servirsi della merce, quando cioè l'incremento del denaro in quanto profitto privato è lo scopo della produzione di merci”. E quaggiù siamo ormai tutte merci, con tanto di cartellino e di codice a barre stampato, ognuna col suo giusto prezzo e la stagione dei saldi da scontare nei tempi di crisi.

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