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mercoledì 18 maggio 2016

Starace e i megadirettori: creare malessere nei dipendenti che non vogliono cambiare...

L’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, dopo la vittoria dell’astensionismo al "referendum sulle trivelle", può finalmente prendersi una meritata pausa e raccontarsi agli studenti della Luiss (l'Università in cui dovrebbero formarsi le élites e i "liberi" manager conf-industriali di domani). 
Per fortuna gli studenti della Liberà università internazionale degli studi Guido Carli sono abituati a certe confessioni e alle lectiones che declinano, vanitosamente, nella difesa valoriale di un capitalismo senza freni
Non è chiaro, in tal senso, se sia la stessa Facoltà a promuovere l’allentamento dei freni inibitori, o se si scelga, molto più verosimilmente, i personaggi da invitare curricula alla mano. 
Di certo non si risparmiano, e dopo la lezione sulla demolizione di ogni cultura improficua tenuta dal Ministro Poletti (“prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico secco, è meglio prendere 97 a 21 anni”), al soglio dell’Ateneo arriva anche il titolatissimo Francesco Starace.

“Come si fa a cambiare un’organizzazione come Enel?”, domanda incuriosito uno studente della platea. Starace non si fa pregare e risponde con la sensibilità di un fachiro Baba: “in primo luogo ci vuole un gruppo di persone convinte su quest’aspetto. Basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare. E bisogna distruggere, distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando a essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno del ganglo dell’organizzazione che si vuole distruggere”. 
Ascoltato il soliloquio, ogni persona di buon senso potrebbe addirittura supporre che si tratti dell’infelice perifrasi di un “licenziatario poetico”. 
E invece Starace, come un panzer lanciato sulle linee nemiche, rincara la dose venendo infine allo scoperto: “appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e questa cosa va fatta nella maniera più plateale possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta velocemente, con decisione, senza requie. Dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire”. 
Applausi dalla cavea degli “aquilotti”.

In fondo non ci si deve stupire troppo. Ad emergere è l’ethos del capro espiatorio che s'incontra con l’applicazione manageriale di quel sistema pedagogico-veterinario che disciplina ogni essere strumentalmente: le persone, e i lavoratori nella fattispecie, vanno trattati col bastone e la carota, ché conoscendo i dolori della verga impareranno alla fin fine, a rigare dritto. 
Come fare? Creando un mercato del lavoro, così come ne abbiamo creato uno dei latticini o dei cereali, quello stesso lavoro diventa una merce al pari di tutte le altre, ove le HR devono essere precarie, flessibili, a tutele crescenti, comunque angosciate ed incerte, bendisposte ad accettare il ricatto e la sottomissione pur di laborare. "Ogni cosa è merce", vaticinava in tal senso Marx.

sottomissione lavoratore

E' la nuova visione ultranichilista portata dall’imperio del profitto in cui i manager più alla moda e vincenti studiano e vengono ispirati da L’arte della guerra di Sun Tzu, come se il luogo di lavoro fosse l’imbarbarimento umano che si sfoga nei campi di battaglia; il mondo pre-statale del bellum omnium contra omnes: il posto che deve ispirare la paura dell'autorità, ove è necessario guardarsi le spalle, usare la strategia e l’arguzia, machiavellicamente, per metterlo nel culo all’altro sottoposto, meglio se di pari rango. 
E con l'impero del profitto avanza pure il nuovo "lato oscuro della forza": l'inumanità del lavoro, la stessa che una certa politica e un certo mondo produttivo e imprenditoriale vogliono favorire: la “cultura” che va insegnata nella “buona scuola” o la strategia del massimizzare gli utili tagliando gli sprechi” incoraggiata dal modello vincente delle multinazionali e delle corporations...
Ma se davvero è questo il tipo di mondo che vogliamo incoraggiare, forse è meglio lasciare velocemente il campo al Duca Conte Giovanni Maria Balabam, almeno saremmo certi di essere “colpiti” per tempo, equamente, col sorriso, benché amaro, del ragionier Fantozzi

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