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mercoledì 14 settembre 2016

L'Italia è una colonia d'insipienti in vacanza

Dai soliti fascistini e festoni che, a discapito di ogni italianità, amano sino al crepacuore il forte Stato nazionale, ai maggiordomi della convenienza, è tutta una cagnara appassionata di ululati alla luna e lamenti. L’indignazione per quei cattivoni democratici che non sembrano aver ancora dimenticato la dottrina Monroe è corale e trasversale: il mondo è il parco giochi statunitense, i paesi amici sono colonie estive per i capricci imperiali e le incursioni diplomatiche di lor signori, ché i sudditi minorenni abbisognano ancora della mano protettiva di una guida autorevole.
Apriti cielo! Dopo l’infelice endorsement di Obama sulla Brexit, anche l’Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Phillips, sente l’urgenza d’intervenire a gamba tesa sulla politica di uno Stato sovrano.

Il modus operandi è sempre lo stesso, e sembra essere condiviso anche da chi ne avversa la posizione. “Gli elettori italiani sono talmente fessi da prestare ascolto ad un Ambasciatore yankee” – pensano assieme l’indignato accorato e il presunto mandatario di messaggi subliminali. Chi rappresenta i cittadini non se n’è ancora accorto, ma è proprio questa sottovalutazione del popolo il vero populismo da réclame. Manco Obama, forse è il caso di ricordarlo, riuscì infatti a spostare elettori dopo la marketta sul suolo di Bretagna in favore della Brexit.
Ma i nostri condottieri contemporanei continuano a sonnecchiare, si voltano dall’altra parte, tergiversano, e anche stavolta, portafogli dell’inciuchito cittadino permettendo, non saranno Confindustria, Fitch, Goldman Sachs, Marchionne o il Fmi, ad influire significativamente sul referendum venturo.

italia usa colonia

E infatti, in un obliquo clima di coma accarezzante, neanche l’unico che dovrebbe davvero incazzarsi per le parole dell’Ambasciatore Phillips dà segnali di vita.
Renzi apprezza, gongola, incassa la fiducia, ridacchia sotto i baffi.
Eppure l’Ambasciatore crede che la vittoria del no al referendum sarebbe un “passo indietro”, perché “l’Italia deve garantire di avere una stabilità di governo” proprio per attrarre investimenti: “63 governi in 63 anni non danno garanzie”. 
Va beh, se si può soprassedere sul fatto che si preferisca, implicitamente, la “stabile” Corea del Nord o l’assolutismo del Re Sole – senza dimenticare che la vacatio governativa di Belgio e Spagna non ha provocato piaghe bibliche in quei paesi – lo stesso benevolo Phillips non si accorge di aver piazzato, indirettamente, anche uno schiaffo al tuttofare Renzi.

“Ma come – dovrebbe forse sbottare l’acume del Premier – corro di qua e di là per promuovere l’arrivo delle sacre multinazionali Usa, come Amazon e Philip Morris, e poi non faccio abbastanza? Investo due milioni di euro per la ricerca su Google, ché qualcuno del Governo forse si è smarrito sul web… Chiudo un occhio sulla tassazione favorevole in cambio di freschi posti di lavoro a bassa qualità, e poi mi dite che non sono sufficientemente solido?”.

La verità, ahinoi, è dura. Non ci sono più gli alleati di una volta, e non ci sono più nemmeno i politici di un tempo. Laddove prima ci si scambiavano le figurine degli stati da spartirsi nel Risiko mondialista dell’imperialismo, ora si barattano solo sgravi economici per generosi posti di lavoro. Oggi, conquista economica par excellance, la vita degli uomini costa quanto un po’ di propaganda e un’amichevole pacca sulla spalla…

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