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martedì 7 marzo 2017

Lo dice la legge: possono licenziarti anche per fare un profitto

Dopo il più 27mila per cento di voucher erogati dal 2008 ad oggi, anche le premesse per un proficuo 2017 non sembrano essere niente male.
Siamo comunque ancora nei paraggi delle Erinni del lavoro, qui però non nella loro veste ufficiale, paludata dalle salvifiche “riforme strutturali”, bensì nella versione ermellinata dei giudici della Corte di Cassazione (smentendo una precedente sentenza della Corte d’Appello. Ah, per gli ottimistoni che vedono rose e fiori anche nell’Ade, andrebbe ricordato loro che, tra i compiti della Corte di Cassazione vi è pure quella “nemofilattica”: armonizzare l’interpretazione bizantina della giurisprudenza made in Italy, una sorta di competenza che ha valore “costituzional-legislativo”).

Recita, a tal proposito, la sentenza 25201 del  dicembre scorso: “il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non dovrà più essere considerato la extrema ratio, ma uno dei possibili sbocchi dell’autonomia organizzativa e decisionale dell’imprenditore sottratta al vaglio del giudice del lavoro”.
In altre parole, se ne avranno probabilmente a male quelli che: “ciò un posto a tempo indeterminato ed è sicuro, me l’ha detto miocuggino”, l’imprenditore di turno, filantropo a modo suo, potrà, d’ora in avanti, decidere di operare un “taglio lineare” alle risorse umane per aumentare la redditività e il profitto. Un altro passo avanti dopo lo “strutturale” bye bye al vetusto articolo 18 e alla precarizzazione progressista del lavoro. Il tutto, dicono quelli bravi, è solo per il bene del lavoratore "minorenne".  

tagli lineari precariato

Bisogna infatti adeguarsi al mondo che cambia, velocissimamente, in ossequio alla competitività verso chi viene pagato con un pugno di riso al giorno (da chi sia formato poi quel mondo iperdinamico, un maelström vorticoso da cui l’uomo viene sputato se inadeguato, ché incapace di stare al passo col mulinello globale, non è dato di sapere. Sarà forse solo colpa nostra, che siamo miopi antistorici conservatori, nipotini di de Maistre che non sanno vedere l’enorme opportunità da cogliere, disfattisti nemici del “migliore dei mondi possibili”).
Ovviamente, commenteranno poi gli stessi esperti dell’eco e gli ultras delle riforme n’importe quoi, tutto ciò servirà per aumentare gli investimenti delle aziende, e quindi anche la competitività, e infine pure, se proprio avanza qualcosina, i posti di lavoro – ammesso che questi nuovi lavoratori al passo coi tempi (aka flessibili) vogliano un po’ bangladeshizzarsi per essere opportunamente “convenienti ed assunti” - .
  
L’aumento delle possibilità di licenziamenti non è solo l’ennesimo mortifero colpo alle tutele dei lavoratori e, sia detto innocentemente di passata, anche a quell’articolo 1 della Costituzione che pare sempre più una burla buona per i gonzi che ancora ci credono, ma è soprattutto un placet - che arriva direttamente dalle istituzioni  democratiche - che autorizza ad un selvaggio laissez faire.
Siamo al liberi tutti, svisato, urlato senza più alcun pudore: prima viene il capitale!

Anche lo Stato, adottando la medesima gerarchia valoriale di un capitano d'industria, sembra comportarsi come un privato qualsiasi e così, con la sentenza della Corte di Cassazione, anche “l’unità minima marginale” diventa parametro legale e il profitto viene definitivamente reificato a dominus fondante, valore ex lege a cui sacrificare il welfare, i sedicenti patti sociali, i diritti acquisiti e l’intera convivenza umana.

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