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giovedì 20 aprile 2017

Uomini a basso costo

La vecchia bottega di fiducia, gli alimentari “sotto casa”, le facce conosciute, rassicuranti, ove l’atmosfera famigliare non si confondeva con la retorica markettara del “far sentire unico e speciale” ogni anonimo consumatore, stanno via via scomparendo. Non reggono all'urto della crisi, sono piccoli, minidotati del capitale che non hanno imparato alla school of dildo, ma nelle stesse strade in cui i loro clienti s’incontravano, socializzavano, stavano insieme.

La discesa usque ad inferos si sta “progressivamente” portando dietro gl’improduttivi “rami secchi”, le abitudini di una volta, la quotidianità dei rapporti umani (il pane fresco ogni mattina, le quattro chiacchiere assieme all’atra biliaris delle comari, e dei loro pettegolezzi, che trovo comunque preferibili all’indifferenza strisciante, all’edonismo straccione e all’individualismo senza individui).
Sarà anche solo per la voglia d’illudersi frammista alla proiezione di quelle abitudini logorate, eppure, un ambiente deamicisiano, per quanto artificialmente ricreato dai professionisti dell’efficienza "da parata", lo si poteva subodorare persino nelle grandi catene di distribuzione (su quanto un impiegato perennemente precario e sottopagato possa sorridere a comando e possa – novello confessore della GDO - “trattarti da uomo anziché da consumatore”, non sono stati fatti abbastanza studi).
Li frequento, di tanto in tanto, i super-super-supermarket. Quasi fosse una ritualità indotta, inclusiva, la messa del capitale sottocosto: i prodotti costano meno, e siamo stati addestrati ad essere attenti risparmiatori – non vorremmo mica spendere di più per qualcosa che potremmo avere a meno? Mica siamo scemi, noi! –.

supermarket

Ma le categorie sottocosto versus sottopagato hanno attecchito ovunque e non vedo più, specie in quelle grandi catene, le vecchie facce degli inservienti che erano lì da oltre dieci anni.
Mi raccontano, i nuovi commessi, ragazzini sbarbati, rigorosamente in età di apprendistato, che i vecchi dipendenti sono stati licenziati prima di Natale: prendevano 1200 euro mensili, mentre le nuove leve “da latte” vengono pagate con 800.
Lo dicono con gli occhi abbassati, vergognandosene, quasi che il licenziamento coatto fosse in parte colpa loro.
Non sanno ancora, o forse li hanno abituati già da piccoli, che presto arriverà anche il loro turno.
E sembra persino di scorgere, nelle loro pupille immobili, un briciolo di cinica consapevolezza: i lavoratori debbono prendere i connotati delle merci che vendono o producono… entrambi, infatti, sono considerati efficienti e “a buon mercato” solo se rispondono a quantitativi criteri “usa e getta”. 

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