La vecchia bottega di fiducia, gli alimentari
“sotto casa”, le facce conosciute, rassicuranti, ove l’atmosfera famigliare non
si confondeva con la retorica markettara
del “far sentire unico e speciale” ogni anonimo consumatore, stanno via via
scomparendo. Non reggono all'urto della crisi,
sono piccoli, minidotati del capitale che non hanno imparato alla school of dildo, ma nelle stesse strade
in cui i loro clienti s’incontravano, socializzavano, stavano insieme.
La discesa usque ad inferos si sta “progressivamente” portando dietro
gl’improduttivi “rami secchi”, le abitudini di una volta, la quotidianità dei rapporti umani (il pane fresco ogni mattina,
le quattro chiacchiere assieme all’atra
biliaris delle comari, e dei loro pettegolezzi, che trovo comunque
preferibili all’indifferenza strisciante, all’edonismo straccione e all’individualismo
senza individui).
Sarà anche solo per la voglia
d’illudersi frammista alla proiezione di quelle abitudini logorate, eppure, un
ambiente deamicisiano, per quanto artificialmente ricreato dai professionisti
dell’efficienza "da parata", lo si poteva subodorare persino nelle grandi catene di distribuzione (su quanto un impiegato perennemente
precario e sottopagato possa sorridere a comando e possa – novello confessore
della GDO - “trattarti da uomo
anziché da consumatore”, non sono stati fatti abbastanza studi).
Li frequento, di tanto in tanto, i super-super-supermarket. Quasi fosse
una ritualità indotta, inclusiva, la messa del capitale sottocosto: i prodotti
costano meno, e siamo stati addestrati ad essere attenti risparmiatori – non
vorremmo mica spendere di più per qualcosa che potremmo avere a meno? Mica
siamo scemi, noi! –.
Ma le categorie sottocosto versus
sottopagato hanno attecchito ovunque e non vedo più, specie in quelle grandi catene,
le vecchie facce degli inservienti che erano lì da oltre dieci anni.
Mi raccontano, i nuovi commessi,
ragazzini sbarbati, rigorosamente in età di apprendistato, che i vecchi
dipendenti sono stati licenziati prima di Natale: prendevano 1200 euro mensili,
mentre le nuove leve “da latte” vengono pagate con 800.
Lo dicono con gli occhi abbassati,
vergognandosene, quasi che il licenziamento coatto fosse in parte colpa
loro.
Non sanno ancora, o forse li hanno
abituati già da piccoli, che presto arriverà anche il loro turno.
E sembra persino di scorgere, nelle loro pupille immobili, un briciolo di cinica consapevolezza: i lavoratori debbono prendere i
connotati delle merci che
vendono o producono… entrambi, infatti, sono considerati efficienti e “a buon
mercato” solo se rispondono a quantitativi criteri “usa e getta”.
Nessun commento:
Posta un commento