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martedì 4 ottobre 2016

Quando l'uomo vuole misurare anche la felicità...

Arriverà forse un tempo in cui al circo, assieme ai clown, faranno entrare anche frotte di economisti acrobati, spericolati giocolieri in maniche di camicia, sempre pronti a regalare un sorriso da spernacchiare alla bisogna.
A dirla tutta, già oggi si assiste ad una frenetica rincorsa circense, tant’è che persino l’ultimo premio Nobel per l’economia, il professore scozzese Angus Deaton, sembra essersi già infilato il naso rosso e il papillon a pois.

Pare infatti che l’economista titolato, forse immedesimatosi eccessivamente nella parte, abbia teorizzato, tra il numero del fachiro e quello del domatore di elefanti, una nuova soglia di felicità. Nella fattispecie, indicata nei suoi studi in 75 mila dollari l’anno (circa 65 mila euro).
Deaton, insomma, crede che la felicità umana possa aumentare fino ad un guadagno annuale di 75 mila dollari, poi, da quella cifra in avanti, come i brufoli di un adolescente, si dovrebbe fermare di colpo: “un guadagno superiore non influisce più di tanto sulla spensieratezza quotidiana, ma fa pensare alle persone di avere una vita migliore”.

deaton

Un po’ come si calcolano i centimetri di virilità per l'ansia da prestazione, l’uomo pragmatico dei giorni nostri, aspirante ragioniere del creato, comprende esclusivamente ciò che può essere ridotto, piegato all’oggettiva misurazione del numero (da quando Galileo ha fatto retrocedere la soggettività a “qualità secondaria”, sino all’applicazione razionale nel calcolo dei piaceri e dei dolori di Bentham, ogni cosa dev’essere con-presa, diventare esiziale “oggetto” suscettibile all’algida valutazione quantitativa. Anche l’uomo, variabile incommensurabile e pertanto pericolosa!).
Chissà se nelle notti insonni che hanno anticipato la strabiliante scoperta, almeno un pensiero è andato al potere d’acquisto. Alle bidonville di Kinshasa e ai loft del Greenwich Village. Chissà se tra i trapezisti e la donna cannone, hanno fatto capolino anche i dubbi: se spendo in un sol giorno tutti i 75 mila verdoni di credito felicizio, magari per l’acquisto di una fuoriserie, poi, tutto a un tratto, divento infelice per i restanti 364 giorni? Se lo psicologo di fiducia si trasferisce o se l’abituale escort di lusso cambia città, cosa faccio? Potrei detrarre dai miei guadagni le loro “parcelle” e dirmi ugualmente felice? Se guadagno tanti baiocchi ma poi i furfanti di Equitalia suonano al campanello? E inoltre, per mostrare il grado di felicità acquisito, meglio postarsi con la Ferrari fiammante o con lo yacht in leasing?

L’uomo, a meno che non faccia parte di quelli che spruzzano acqua da un fiore di plastica, non è imprigionabile in rigide formule matematiche.
Spiace quindi per tutti quei felicioni col cerone, che speravano di aver trovato la quadra al loro esprit de géométrie, ma l’eudemonia non è una ricetta standardizzata, uguale per tutti. E la stessa felicità, uomini codice a barre permettendo, non può essere indicizzata alla mole di consumi che, come un passivo tubo digerente, si riesce ad ingurgitare senza rimettere.
L’eudemonia non è una branca dell'economia, essa è ancora un "affare" imperscrutabile, imprevedibile, incommensurabile... l’eudemonia è ancora uno splendido umano demone.


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